Promotori, monomandatari di fatto

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Promotori, monomandatari di fatto
La legge vieta di rappresentare più preponenti, ma le aziende li iscrivono come plurimandatari
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I promotori finanziari sono sostanzialmente penalizzati dal regime previdenziale derivante dall’applicazione di una nota Enasarco del 31 ottobre 2001 che ha modificato la precedente interpretazione dell’art. 6 del Regolamento delle attività istituzionali. È quanto evidenzia un articolo a firma Alfonso Tacchini pubblicato su Milano Finanza del 23 febbraio u.s..
Infatti la normativa di settore obbliga il promotore finanziario a svolgere l’offerta fuori sede, come dipendente, agente o mandatario, esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto.
Ciò dovrebbe comportare che qualora il promotore svolga la propria attività sotto forma di agente, esso debba essere inquadrato come monomandatario. Invece non è così perché nella nota sopra citata, evidenzia il giornalista, la Fondazione rileva come il promotore possa comunque legittimamente svolgere attività promozionale in altri settori per ulteriori preponenti. Ovviamente le varie società di intermediazione forti di tale nota, e per evidenti ragioni di contenimento dei costi, tendono ad iscrivere i propri promotori in regime di plurimandato.
In parole povere è vero che il promotore può svolgere attività di intermediazione finanziaria per un solo preponente, ma può tranquillamente fare l’agente per una società editrice o per un’azienda che commercializza prodotti informatici. È evidente che tale impostazione è del tutto fuorviante e soprattutto non tiene in alcun conto la specificità e professionalità del promotore finanziario.
Qui però, come evidenzia l’estensore dell’articolo il problema non è teorico, ma bensì pratico e con conseguenze potenzialmente dannose per il promotore. Vediamo perché: il contributo previdenziale Enasarco per un promotore che risulta plurimandatario (ma di fatto ed in realtà anche di diritto è monomandatario) sarà pari, nel 2013, al 13,75% di quanto corrisposto a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di agenzia, sino ad un massimo di € 22.000. Ciò vuol dire che il contributo previdenziale massimo (cd. massimale contributivo) sarà pari a € 3.025 all’anno, contro i quasi 4.500 euro che rappresentano il massimale contributivo degli agenti monomandatari. Ciò a lungo andare si riflette in una prestazione previdenziale finale (cioè in una pensione) che sarà, secondo le previsioni elaborate dal giornalista quasi del 50% (€ 250 contro € 487) inferiore rispetto a quella a cui il promotore avrebbe diritto se l’obbligatorietà del monomandato fosse riconosciuta anche in relazione al regime previdenziale.
Dovrà essere il legislatore a farsi carico di porre rimedio a tale “ingiustizia” o l’Enasarco potrebbe riconsiderare il problema riconoscendo la peculiarità della figura del promotore finanziario?