Accade talvolta che a seguito della cessazione del rapporto di agenzia l’agente si rivolga al sindacato o direttamente al legale per richiedere all’azienda il pagamento di una somma a fronte dell’attività di incasso che lo stesso ha svolto, ma che non trovava specifico riconoscimento e regolamentazione nel contratto sottoscritto inter partes.
La Corte d’Appello di Napoli, sez. lavoro, con recentissima sentenza n. 2078/2022 del 1° giugno 2022, ha affrontato compiutamente la questione del riconoscimento in favore dell’agente della provvigione a fronte dello svolgimento dell’attività di incasso, chiarendo quali sono i presupposti giuridici e fattuali che devono necessariamente sussistere affinché l’agente possa maturare il diritto a percepire detto compenso.
Ebbene la Corte ha innanzitutto ribadito il principio consolidatosi oramai da tempo secondo cui “ove il contratto di agenzia preveda fin dall’inizio il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi – attesa la natura corrispettiva del rapporto – che il compenso per tale attività sia stato già compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata con riferimento al complesso dei compiti affidati all’agente, mentre la medesima attività va separatamente compensata nel caso in cui il relativo incarico sia stato conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto (ex plurimis, Cass. 17572/2020), ciò vale, sostiene ancora la Corte, “a meno che non risulti accertata la volontà delle parti di procedere ad una novazione che, prevedendo nuovi obblighi a carico dell’agente, lasci invariati quelli del preponente“ (Cass. n. 1269/1988. In senso conforme: n. 3309/1991, n. 1818/1993, n. 7481/2000, n. 22892/2008).
Tale principio si basa sul presupposto che lo svolgimento da parte dell’agente di attività di incasso, per conto del preponente, dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti possono convenire.
Allorquando la facoltà e l’obbligo di riscuotere i crediti del preponente siano intervenuti in corso di rapporto, deve ritenersi che tale attività costituisca prestazione accessoria e ulteriore rispetto all’originario contratto, e richiede pertanto una propria remunerazione, in base alla generale normativa sul lavoro autonomo e, specificatamente, all’art. 2225 cod. civ. (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 8110/1995, n. 3902/2001).
Nel caso di specie, la Corte – accertata l’assenza di un contratto scritto e di pattuizioni che regolassero i rapporti fra le parti – ha valutato la documentazione prodotta in atti dall’agente (rappresentata dalle distinte di incassi riportanti il nominativo del cliente, il nome della banca, il numero dell’assegno e l’importo incassato, sottoscritte sia dall’agente che dal capo-area) unitamente alle dichiarazioni dei testi che hanno confermato di aver consegnato nel corso degli anni gli assegni a copertura delle merci acquistate dall’Azienda.
Dalla disamina di tali risultanze probatorie i Giudici dell’appello hanno desunto la continuità e la stabilità dell’attività di riscossione dei crediti svolta dall’agente, elementi questi ritenuti necessari ai fini del riconoscimento del diritto dell’agente nonché ovviamente l’ammontare degli incassi effettuati nel tempo.
Ciò che emerge dalla lettura di questa sentenza, aldilà del principio giuridico ribadito dalla Corte d’Appello, è l’importanza che riveste in tema di compenso per attività di incasso la documentazione ritenuta necessaria ai fini della prova dello svolgimento di tale attività, documentazione che deve immancabilmente evidenziare gli elementi utili ad individuare l’affare a cui si riferisce ogni singolo incasso nonché utili ad individuare la modalità di incasso (versamenti in contanti oppure a mezzo assegno) e l’importo riscosso.
Chiaramente tale documentazione acquista valore probatorio pressoché determinante se sulla stessa risulta apposta la firma di un preposto aziendale.
Per quanto concerne infine la determinazione del quantum della provvigione spettante all’agente, la Corte d’Appello ha ritenuto che – in assenza di contratto e di pattuizioni che regolamentassero i rapporti fra le parti – l’ammontare del compenso dovesse essere quantificato, in via equitativa, in ragione dello 0,5% dell’importo complessivamente incassato dall’agente.