Dal 1° ottobre 2020 tutti gli agenti, i rappresentanti ed i consulenti finanziari che non avevano ancora provveduto, dovevano comunicare telematicamente al Registro delle imprese il proprio domicilio digitale (già PEC – art. 37 del D.L. 76/2020 Decreto Semplificazioni).
Sono previste sanzioni pecuniarie per i soggetti inadempienti, mentre chi aveva già provveduto non deve fare nulla, se non mantenere l’indirizzo PEC valido, attivo e nella propria disponibilità esclusiva.
La PEC ha lo stesso valore legale della raccomandata A/R. Al pari di una raccomandata con avviso di ricevimento, la Posta Elettronica Certificata fornisce la prova della data e dell’ora di invio/ricezione di un messaggio. In più la PEC, a differenza della raccomandata, comprova anche il contenuto del messaggio perché lo rende immodificabile. Il tutto, a patto che i messaggi vengano scambiati tra due indirizzi PEC e non tra una e-mail e una PEC.
Il contenuto della PEC viene mantenuto riservato tra mittente e destinatario, perché la legge vieta ai gestori della PEC di avere conoscenza del contenuto delle informazioni trasmesse.
Su tutti i messaggi vige in sostanza un vincolo di segretezza al pari di quello riconosciuto dalla Costituzione per la normale corrispondenza.
Tra i vantaggi della PEC c’è quello, non di poco conto, che i messaggi di posta elettronica certificata non contengono virus informatici e malware, perché vengono verificati, per legge, da parte dei gestori dei servizi di PEC. Dunque la PEC offre, oltre alla certezza delle comunicazioni, l’assoluta sicurezza delle stesse.
Il domicilio digitale dal 1° ottobre 2020 può essere utilizzato per tutte le comunicazioni dagli enti, quali l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, il Comune per la notifica delle multe.
Una delle questioni che risulta ad oggi irrisolta dalla giurisprudenza e che ci si trova spesso ad affrontare è quella relativa alla notifica degli atti esattoriali, ed più specificamente a quegli atti che vengono trasmessi via PEC utilizzando però indirizzi non presenti negli elenchi pubblici.
La Cassazione – Sezione Tributaria, con l’ordinanza n. 21328/2020 del 5 maggio 2020 ha affermato la validità della notifica della cartella di pagamento effettuata dal concessionario della riscossione a mezzo PEC in formato PDF anche senza attestazione di conformità:
“La notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario – il c.d. atto nativo digitale -, sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo – la c.d. copia informatica. Tale principio trova applicazione al caso di specie in quanto il concessionario della riscossione aveva provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato pdf. A detta della Corte, andava dunque escluso l’illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo Pec, in quanto era nella facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico. Nessuna norma di legge, infatti, impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento cartacea, notificata via PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale” attribuendo quindi pari dignità giuridica ad entrambi i formati (pdf. e p7m.). Assume però rilievo l’indirizzo PEC di provenienza della notifica, sia laddove il notificante sia il concessionario della riscossione, sia laddove il notificante sia l’ente previdenziale, dal momento che anche l’INPS si sta avvalendo sempre più frequentemente della notifica a mezzo PEC degli avvisi di addebito nei confronti di imprese con indirizzo PEC depositato presso la CCIAA.
Sino all’anno scorso, si osservava come non era possibile notificare via PEC atti giudiziari all’INPS in quanto l’Ente Previdenziale era una delle pochissime Pubbliche Amministrazioni che non si era mai attivata per registrare un valido indirizzo di posta elettronica certificata nel Reginde.
La situazione è mutata solamente in piena emergenza sanitaria Covid 19, grazie al DL n. 76/2020 che ha modificato il DL. N. 179/2012 introducendo all’art. 16 ter il comma 1 ter che ora prevede appunto tale possibilità (..in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12, la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell’elenco previsto dall’articolo 6-ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e, ove nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione è effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato”).
Ricordiamo che il 1° comma dell’articolo 16ter del D.L. n. 179 del 2012 individua quali pubblici registri ai fini della notificazione: “IPA”, “Reginde”, “Inipec” (ovvero gli elenchi previsti dagli articoli 4 e 16 del medesimo decreto).
L’articolo 26 D.P.R. n. 602 del 1973 infine, stabilisce che “La notifica della cartella può essere eseguita… a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INIPEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta”.
Dal sopra descritto quadro normativo emerge come il legislatore abbia ripetutamente sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti dai pubblici elenchi, ciò, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificato. Tale esigenza procedurale è stata ribadita dalla Suprema Corte che, in materia di notifica di atti civili, con una recente ordinanza del 2019 (la numero 17346) ha osservato che la notifica effettuata con modalità telematiche è da considerarsi viziata se il notificante utilizza un “indirizzo di posta elettronica certificata” non risultante da pubblichi elenchi a mente dell’art. 3-bis L. n. 53 del 1994.
Il principio può essere esteso al procedimento tributario e quindi va ritenuta l’illegittimità del debito erariale imputato al cittadino quando la casella PEC adoperata dall’Ente della Riscossione in sede di notifica delle cartelle esattoriali è collegata ad un soggetto che non si conosce, e cioè da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri.