Continuiamo a ricevere da molti colleghi lamentele circa l’operato dell’Agenzia delle entrate che sulla base degli studi di settore continua a notificare richieste di pagamento di imposte su redditi in realtà mai percepiti dagli agenti. La Corte di Cassazione ha più volte evidenziato come gli studi di settore non costituiscano un fatto concreto, ma rappresentino un’estrapolazione statistica di dati acquisiti su campioni di contribuenti con la conseguenza che i valori attribuiti al contribuente non possono supportare l’accertamento, che anzi deve essere fondato su elementi concreti. In particolare la Cassazione ha già ritenuto illegittimo, in più di una occasione accertamenti fondati solo su dati ricavati dallo studio ed ha accolto le motivazione dei contribuenti laddove supportate da precisa documentazione e considerazioni adeguatamente motivate quali per es. la conclamata e notoria crisi di determinati settore settori merceologico con la conseguente inidoneità dello studio a rappresentare la reale situazione della situazione reddituale del contribuente. Alla luce di ciò quindi l’unico modo per risolvere la questione è quella di presentare all’Ufficio finanziario una documentazione completa (mandato, estratti conto mensili o trimestrali inviati mandante) così da certificare, che il reddito dichiarato è effettivamente quello percepito. Gli studi di settore non analizzano le singole situazioni, ma si basano su formule matematiche che più volte negli incontri istituzionali, abbiamo ribadito essere insufficienti a giustificare i valori che generano. Non esiste infatti una percentuale di provvigione identica per settore merceologico, ma ci sono diverse discriminanti che sono indicate nel mandato e che dipendono dall’esperienza, dal settore, dalla regione nella quale si presta la propria attività.
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Come difendersi dall’assurdità degli studi di settore