La definizione “provvigione indiretta” è stata coniata in dottrina e giurisprudenza con riferimento alla provvigione sugli affari riferibili alla zona di attività dell’agente che non siano stati promossi e conclusi attraverso il suo intervento, bensì attraverso una trattativa diretta da parte della preponente. L’originario testo dell’art. 1748 c.c. prevedeva, al 2° comma, il diritto dell’agente alla provvigione sugli affari conclusi dal preponente senza il suo intervento disponendo che: “La provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente, che devono avere esecuzione nella zona riservata all’agente, salvo che sia diversamente pattuito”. Sin da subito è parso evidente come la previsione fosse orientata a tutelare l’agente nei rapporti con il preponente, avendo lo scopo di evitare che l’intervento diretto di quest’ultimo nella zona assegnata all’agente producesse una contrazione del volume d’affari procacciabili dall’agente.
Ciò nonostante, l’inciso “salvo che sia direttamente pattuito” – con il quale si chiudeva e si chiude tutt’ora il disposto del 2° comma citato – rende ragione del fatto che il diritto alle provvigioni indirette e non aveva, né ha, carattere inderogabile, potendo costituire oggetto di deroga per effetto di un’espressa pattuizione contrattuale. Sotto altro profilo, poi, il diritto dell’agente alla provvigione sugli affari conclusi dalla preponente nella sua zona di competenza trovava e trova indiretta deroga ogni qual volta le pattuizioni del contratto individuale escludano il diritto di esclusiva dell’agente previsto dall’art. 1743 c.c., così consentendo al preponente di affidare incarichi di promozione d’affari ad altri agenti operanti nella sua zona di competenza. Quindi, in mancanza di un’esclusiva di zona il preponente, come confermato anche da conformi sentenze della Corte di Cassazione, può concludere affari nella zona di competenza dell’agente e, in relazione a tali affari, all’agente non spetta alcuna provvigione (né diretta né indiretta).
Chiarite le astratte condizioni cui è legata la spettanza della provvigione indiretta, la Cassazione si è pronunciata anche sulla portata dell’art. 1748, co. 2 c.c. nell’ipotesi, invece, di agenti che godano dell’esclusiva di zona ex art. 1743 c.c., adottando però in questo caso interpretazioni di diverso segno, talvolta massimizzando, ed in altri casi riducendo, la tutela dell’agente. Per esempio con una sentenza ormai risalente (la n. 539/1977), la Suprema Corte enunciò il seguente principio di diritto: “L’art. 1748, co. 2, c.c., nel prevedere il diritto dell’agente alla provvigione anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente, mira a tutelare l’agente medesimo, nell’ambito della zona di esclusiva, da ogni invasione del preponente, che si traduca in sottrazione di affari ed indebita appropriazione dei risultati della sua opera organizzatrice e promozionale.
Pertanto, la circostanza che gli affari conclusi direttamente dal preponente debbano essere eseguiti nella zona riservata all’agente, posta dalla citata norma come ulteriore requisito per il riconoscimento del diritto in questione, non va intesa in senso restrittivo, ma va ravvisata ogni qual volta si verifichino in concreto gli indicati effetti, per fatto del preponente, ancorché il contratto da questi stipulato non debba avere giuridica esecuzione nella zona riservata all’agente.”
L’interpretazione dell’art. 1748, co. 2 c.c. quale norma di protezione dell’attività dell’agente, trovò conferma dal Supremo Collegio con sentenze n. 3989/1981 e n. 156/1985. Con sentenza n. 11197/2001 invece la Cassazione ha circoscritto il diritto dell’agente alla provvigione indiretta, disponendo che solo le vendite effettuate direttamente dalla preponente a terzi aventi sede nella zona dell’agente fanno sorgere il suo diritto alla provvigione. Nella fattispecie al suo esame la Suprema Corte risolse, a danno dell’agente, una controversia nella quale quest’ultimo aveva agito nei confronti del preponente chiedendone la condanna al pagamento delle provvigioni indirette ex art. 1748, co. 2 c.c., con riferimento alle vendite effettuate dal preponente in favore di un grossista che ne aveva acquistato i prodotti e li aveva a sua volta posti in vendita al dettaglio, mediante propri venditori, nella zona di competenza dell’agente.
Secondo la Cassazione: “Il diritto dell’agente a conseguire le provvigioni per le vendite concluse direttamente dal preponente nella zona riservata allo stesso agente, ex art. 1748, comma 2, c.c., presuppone che si tratti di vendite concluse da un soggetto, appunto il preponente, in immediato rapporto con la controparte acquirente, nelle quali, cioè, lo scambio fra le prestazioni corrispettive avvenga in maniera immediata e diretta tra le due parti, senza l’intervento di soggetti interposti e senza ulteriori passaggi intermedi”. Ancora diverse le conclusioni raggiunte con sentenza n. 7062/1991, in cui la Cassazione evidenziò come il diritto alla provvigione indiretta sorgesse per l’agente solo ove questi avesse espletato almeno in minima parte l’attività agenziale. Per converso l’agente non può vantare alcun diritto neppure a titolo di provvigione indiretta quando “l’intervento del preponente nella zona dell’agente sia stato causato dall’inadempimento di questi”. Pertanto in questo caso i Supremi Giudici tengono a chiarire come il diritto alla provvigione indiretta non costituisca una sorta di rendita per l’agente che goda del regime di esclusiva nella propria zona di competenza, ma un riconoscimento che gli compete ex lege solo laddove lo stesso svolga diligentemente l’attività di promozione d’affari e di procacciamento della clientela.
Come è noto, poi, il 2° comma dell’art. 1748 c.c. in tema di spettanza delle provvigioni indirette veniva modificato ad opera del D. Lgs. n. 303 del 10/9/1991, emanato in attuazione della Direttiva CEE 18.12.1986, n. 653 e l’attuale testo del 2° comma dell’art. 1748 c.c. recita: “La provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, salvo che sia diversamente pattuito”, sicché risultano maggiormente specificate le ipotesi di spettanza della provvigione indiretta, da ricollegarsi a tutti gli affari conclusi dal preponente con terzi già acquisiti come clienti dall’agente ovvero facenti parte della zona, categoria o gruppo di clientela riservatigli in esclusiva. Nella sostanza, però, può affermarsi come la novella del 1991 non abbia inciso sulla ratio che sottende l’art. 1748, co. 2 c.c., e che l’interpretazione giurisprudenziale della disposizione prosegua sui medesimi binari tracciati dalla giurisprudenza anteriore.
Quanto al tema dell’estensione del diritto alla provvigione indiretta, invero, il Supremo Collegio sembra aver sposato l’interpretazione maggiormente “pro agente” dell’art. 1748, co. 2 c.c., dal momento che, con sentenza n. 22887/2017, ha ritenuto che: “Il diritto alla provvigione cd. indiretta compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva o di captazione di clienti riservati all’agente attraverso l’intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata ed indipendentemente dalla tecnica negoziale prescelta o dal luogo in cui questa è posta in essere, sicché, anche la conclusione di affari al di fuori della zona di esclusiva dell’agente, con una società che, a sua volta, provveda alla distribuzione del prodotto ad imprenditori affiliati operanti, invece, nel predetto ambito territoriale, costituisce violazione della zona di esclusiva, ove vi concorra il preponente” (conforme Cass. n. 7358/2022). Resta da chiedersi quali siano gli strumenti a disposizione dell’agente onde provare in giudizio l’esistenza e l’ammontare delle vendite su cui calcolare la provvigione indiretta.
Su questo tema, avente carattere più generale in quanto riferibile alla ripartizione dell’onere della prova in punto di reciproci diritti e obblighi delle parti in materia di agenzia, la Suprema Corte si è sovente pronunziata limitando, di fatto, il diritto dell’agente alle provvigioni indirette. È evidente però che riversare solo sull’agente l’onere di provare gli affari in relazione ai quali lo stesso chiede il pagamento delle provvigioni indirette può, di fatto, vanificare la tutela apprestata dal 2° comma dell’art. 1748 c.c., ove si rifletta sul fatto che l’agente non sempre sa/ può sapere quali affari siano stati conclusi nella sua zona in violazione del suo diritto d’esclusiva (si pensi al fenomeno delle vendite telematiche effettuate dal preponente in favore di terzi aventi sede nella zona dell’agente).
Su tale tema, però, e più in generale sull’onere della prova dell’agente che reclama il pagamento di provvigioni non riconosciutegli (dirette o indirette), può farsi affidamento su quel filone giurisprudenziale che, nel valorizzare l’obbligo di informativa del preponente e il principio di vicinanza della prova (secondo cui la parte che non ha la disponibilità della prova può richiedere al giudice che la stessa venga fornita dalla controparte che, viceversa, ne ha la piena disponibilità), non ha mancato di evidenziare come l’art. 1749 c.c., abbia imposto al preponente lo specifico obbligo di mettere a disposizione dell’agente la documentazione e le informazioni necessarie all’espletamento dell’incarico e di consegnare un estratto conto dettagliato, delle provvigioni dovute. In base al succitato articolo quindi l’agente è titolare di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza” (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 29/09/2016, n. 19319).