Quando l’inadempimento della mandante giustifica il recesso per giusta causa

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Quando l’inadempimento della mandante giustifica il recesso per giusta causa
Una sentenza della Cassazione dà ragione ad un nostro collega
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La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini dell’eventuale recesso per giusta causa è sempre fonte di contestazione fra aziende preponenti ed agenti. Anche per gli addetti ai lavori non è sempre facile individuare con certezza comportamenti e/o inadempimenti che, con sicurezza, possano essere considerati di una tale gravità da giustificare il recesso in tronco di una delle parti. Se è pacifico che il mancato versamento dei contributi previdenziali o la sistematica violazione dell’esclusiva siano comportamenti tali da legittimare un recesso per giusta causa, sono molte le condotte che rimangono in una linea d’ombra e che spesso inducono, prudentemente, i consulenti a sconsigliare all’agente di porre fine al rapporto.

Una recente sentenza della Suprema Corte però sembra fornire un contributo importante sottolineando come, nel rapporto di agenzia, il rapporto fiduciario assuma una maggiore rilevanza, rispetto al rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che, per verificare la legittimità del recesso in tema d’agenzia basterà un inadempimento di minor rilevanza rispetto a quello necessario in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato.

Sulla base di tali considerazioni quindi la Suprema Corte (sent. 11728 del 26.5.2014), considerando adeguatamente motivate le valutazioni in concreto formulate dai giudici di merito, ha ritenuto legittimo il recesso per giusta causa operato dall’agente a seguito del mancato riconoscimento da parte delle preponente delle provvigioni su un singolo ordine effettuato direttamente presso l’azienda da un cliente precedentemente acquisito dall’agente e rientrante nella sua zona di esclusiva.